mercoledì 15 aprile 2009

Il terzo rapporto dell'INPS sugli immigrati negli archivi previdenziali”
di Olindo Ionta**
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La presenza sempre più strutturale dei migranti nella nostra società rappresenta un aspetto concretamente misurabile che il “Terzo Rapporto dell'INPS sulle posizioni attive dei cittadini immigrati all'interno degli archivi previdenziali”, contribuisce a definire in maniera sempre più precisa fornendo un supporto concreto alla ormai irrinunciabile costruzione di corrette politiche migratorie e di governance del territorio.
I dati che fotografano il positivo apporto dei migranti nel nostro tessuto demografico e produttivo trovano infatti una loro importante conferma all'interno dei risultati conoscitivi raccolti dal Terzo Rapporto dell'INPS.
I contributi dei migranti sull'occupazione e sulla produzione di ricchezza nel nostro Paese sono ormai dati per acquisiti in quanto è risaputo che è grazie ad essi che si mantiene positivo il saldo tra nascite e morti sia degli individui che delle imprese, mentre il Rapporto Unioncamere del 20081, tenuto conto anche degli irregolari, stima nel 9,2% il contributo dei migranti al Pil complessivo dell'Italia.
Come messo in evidenza in una recente ricerca2 è tuttavia la relazione tra le classi d'età dei migranti presenti in Italia e la loro posizione occupazionale a meritare maggiore attenzione dal punto di vista di un'analisi sociologica del fenomeno e di una sua corretta valutazione.
In ciascuna delle classi d'età di popolazione attiva la percentuale dei migranti è maggiore di quella di italiana ed il dato è particolarmente significativo nel gruppo 25-40 anni (la più importante dal punto di vista occupazionale) ove sono il 44% contro il 24 degli italiani mentre la classe che comprende gli over 64 (fuori dal mondo produttivo) vede un netto predominio degli italiani che sono il 20% del totale della popolazione rispetto al 2% dei migranti.
Da questi dati si colgono le ragioni dell'attenzione accordata dall'Inps al contributo in termini previdenziali dei nuovi cittadini, che risulta cruciale all'interno del sistema italiano, ed i risultati di questo lavoro, oltre a confermare questa impressione, hanno il merito di quantificarne il peso specifico.
I dati della ricerca prendono in esame il periodo contributivo compreso tra il 2004 ed il 2006 e sia rispetto ai trend evidenziati dalla ricerca, sia rispetto alla cautela metodologia degli autori (che hanno dovuto incrociare archivi differenti3 in una realtà fortemente caratterizzata dal sommerso) sono dati che vanno considerati per difetto.
I dati dell'Inps sulla presenza di cittadini immigrati per il triennio 2004-2006 confermano le rilevazioni nazionali sul fenomeno attestando una crescita considerevole confermata dalle stime per il 20074.
Nello specifico i migranti sono passati dai 2.402.157 del 2004 ai 2.938.922 del 2006 e la stima per difetto5 del totale dei contribuenti stranieri alla previdenza sociale per il 2004 si attesta su 1.537.380 unità, tenendo conto dei soli cittadini extraUE-15.
Questo dato unito a quelli relativi alla fruizione delle tipologie di sussidi a sostegno del reddito6, richieste da cittadini stranieri, restituisce uno spaccato analitico in cui è evidente il contributo che i migranti apportano al sistema previdenziale italiano.
La cassa integrazione ed in via minore il sostegno alla disoccupazione sono infatti i due servizi previdenziali maggiormente utilizzati dai cittadini immigrati mentre se si guarda i contributi pensionistici il dato sottolinea quanto affermato in precedenza.
I numeri mostrano molto più delle parole questa realtà, ed i numeri in questione sono ripresi da una stima elaborata dall'equipe della Caritas: mentre oggi i pensionati italiani sono 1 ogni 5 persone7 gli immigrati pensionati, tenuto conto dei trend di crescita della popolazione immigrata, sono stimati in circa 1 ogni 25 immigrati nel 2015.
In sostanza come evidenziato dal Terzo Rapporto dell'Inps “sotto l’aspetto strettamente previdenziale, sembra convalidata la tesi che in Italia, grazie alla loro giovane età, i lavoratori immigrati siano più un beneficio che un costo, mentre la questione si porrà in altri termini tra una ventina d’anni”.
Analizzando i dati relativi alle posizioni contributive dei migranti, gli autori del Rapporto sottolineano come siano nettamente prevalenti i contributi degli immigrati occupati nell'industria rispetto a quelli occupati nei lavori domestici8.
Le statistiche sugli occupati nei lavori domestici (336 mila unità) risentono tuttavia dell'abbondante ricorso al lavoro nero ed appaiono in questo senso fortemente sottostimate rispetto al peso reale che questo genere di lavori occupa nel quadro complessivo del lavoro dei migranti: “non desta sorpresa” scrivono gli autori del Rapporto, “che la loro stima sia raddoppiata alla fine del 2007 e portata fino a 1 milione se si tiene conto dell'elevato numero di domande presentate in occasione del decreto flussi del 2007”.
Il dato relativo ai lavoratori autonomi è stimato in poco più del 5% ma gli autori tendono a sottolineare come anche questo specifico segmento contributivo abbia sicuramente già aumentato il proprio peso percentuale tenuto conto del notevole incremento che le imprese immigrate hanno fatto registrare dal 2004 al 2007 (intervallo in cui sono passate da 72 mila a 140 mila per attestarsi a circa 165 mila a giugno del 20089).
La lotta che lo stesso Istituto di Previdenza porta avanti per l'emersione di questi settori occupazionali, insieme a quella dell'evasione fiscale, va dunque interpretata come una tutela per i lavoratori immigrati ma anche per l'intera collettività che beneficia del notevole apporto contributivo dei cittadini immigrati.
Secondo quanto pubblicato dalla stessa Inps circa i risultati della campagna di ispezioni contro il lavoro sommerso, che ha portato alla emersione di circa 60 mila posizioni contributive di persone “precedentemente sconosciute all'Istituto”di cui 15 mila stranieri, sono il comparto agricolo e quello edile a rappresentare i settori ove più frequente è il ricorso al lavoro nero.
Il Terzo Rapporto dell'Inps fornisce inoltre dati sulla distribuzione occupazionale dei migranti sul territorio e della loro specifica ripartizione nei distinti segmenti lavorativi andando a confermare e sostanziare le ricerche e le stime esistenti.
Inoltre, incrociando i dati degli archivi anagrafici e di quelli previdenziali, la ricerca mette in evidenza la stretta correlazione tra il mancato riconoscimento dei titoli, da cui ne consegue un frequente sotto-inquadramento dei lavoratori immigrati, ed una media retributiva mediamente più bassa per i migranti rispetto agli italiani.
In concreto, di oltre un milione di lavoratori del settore industriale l'83% di essi figura come operaio semplice e solo lo 0,5 nei quadri dirigenti quando più della metà di loro possiede una laurea conseguita nel paese d'origine. Questa situazione si riflette nella retribuzione che secondo la stima legata ai lavoratori extraUE-15 è del 37% in meno rispetto al dato complessivo sugli occupati italiani10.
Roma,Aprile 2009
**Ricercatore